IL SENSO DELLA VITA di Alberto Longatti

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IL SENSO DELLA VITA di Alberto Longatti

di Alberto Longatti

Nelle tavole dipinte, o meglio “manipolate” da Giuseppe Orsenigo, la caratteristica principale è l’accumulo di significati. Una pluralità che va di pari passo con la variabile disseminazione di segni, immagini, figure mescolati in magma che trova proprio nella complessità la sua giustificazione operativa. Per produrre questo effetto di spessore l’artista adotta una tecnica particolare, con materiali diversi magistralmente amalgamati, talora rappresi talaltra distesi, colati, sovrapposti in una sostanza dalla tattile modellazione. E tale elaborato sistema operativo finisce per apparire come una sorta di umore apparentemente liquido, ma in verità solidissimo, dove qualcosa di vivo è stato imprigionato. Lo si può anche definire una sorta di acquario pietrificato nel quale oggetti almeno in parte riconoscibili, estratti dalle apparenze quotidiane, sono mescolati con forme astratte, ectoplasmi misteriosi, fantasmi della memoria, riferimenti onirici.

I titoli delle opere (dipinti o bassorilievi?) non descrivono i contenuti ma vi accennano soltanto, almeno per quanto riguarda il percorso concettuale, che poi ha una definizione incerta perché subisce inevitabilmente le variazioni imposte dal tormentato procedimento operativo. Avendo come costante l’intimo confronto con se stessi rappresentato dai fori dove è celata una superficie specchiante. L’incertezza, l’ambiguità dei significati non sono fuorvianti, ma generano un seguito di suggestioni che costituiscono proprio la principale connotazione della ricerca di Orsenigo. Un lavoro che attualmente, come dimostrano le opere raccolte in questa mostra, sta attraversando una nuova, interessante fase di semplificazione, o meglio di aggregazione descrittiva che suggerisce un più ampio campo d’ispirazione, tematiche contigue alle provocazioni visive di marca surrealista. Sembrano infatti ricollegarsi a quelle esperienze storiche le composizioni dove le eccedenze materiche si attenuano per isolare spazi vuoti, fondali monocromi in cui galleggiano pochi elementi figurativi dalle evidenti allusioni astrali.

Si direbbe che l’artista, dopo tante calate nei recessi della coscienza individuale, voglia interrogarsi sul  cammino di ognuno e quindi saggiare panorami più vasti di quelli introspettivi, porre in  campo simboli di valore universale pur senza abbandonare i richiami alla natura. Pulsioni esistenziali, sempre, non astrazioni intellettualistiche. Lo provano gli interessanti dipinti della serie “L’albero della vita” che come metafora visiva non fanno riferimento ai  rami arricciolati della celebre tavola klimtiana sullo stesso soggetto ma rappresentano tronchi solidamente ancorati al suolo e da esso proiettati verso l’alto. Agli aggraziati intenti decorativi del maestro viennese si preferisce l’appello ad una realtà robusta, di schietta sostanza umana. Per riflettere sul destino comune ad operatore e riguardante, a chi comunica il proprio pensiero ed a chi lo riceve, disponibile a farlo proprio.

 

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