Morando Morandini Milano , Novembre 2002
Un artigiano in immagini
Che cosa mi incanta nei quadri di Giuseppe Orsenigo, artigiano in immagini? In francese e in inglese si image (imagen in castigliano, imagem in portoghese). Spostate le “i” di image e avrete magie. Perciò parlo d’incanto. Per me c’è qualcosa di magico nei colori di Orsenigo, nella miscela di concreto e di astratto, nell’audacia impertinente degli accostamenti, persino nella varietà dei suoi supporti (tela, legno, vetro, plexiglas, alluminio, carta, cartone) come l’uso di tempere, pastelli, colla. E’ come se nella sua attività immaginaria non dimenticasse mai la realtà quotidiana dei materiali con i quali da sempre si cimenta nel suo lavoro di designer.
Quando dipinge o compone, Orsenigo è un sognatore a occhi aperti, in stato di veglia. C’è qualcosa di profondamente semplice nella complessità delle sue figurazioni. C’è qualcosa di misteriosamente spontaneo nell’accensione di colori che fiammeggia, soprattutto nelle ultime opere. A qualcuno potrebbe sembrare persino spericolata, ma probabilmente è il frutto di acquisita sicurezza in se stesso dopo trent’anni di segreto lavoro, quasi al riparo da occhi indiscreti o da giudizi frettolosi e intempestivi. Orsenigo non si tira indietro nel dare colore alle sue immagini, alle sue magie. Non c’è un programma nel suo rifiuto del quadro semplice, ma la spontanea obbedienza all’immaginario che gli detta dentro. Gli si addice il laconico insegnamento che Henry James dava ai giovani scrittori che gli chiedevano un consiglio: “Make feel, make see, make think”, ossia fate sentire, vedere, pensare. In tedesco mestiere si dice handwerk, lavoro di mano. Anche perciò preferisco chiamare Orsenigo artigiano piuttosto che artista, parola ambiziosa e un po’ pomposa: Handwerk era la parola preferita da Jean Renoir quando parlava del suo lavoro di regista: “L’ho imparato da mio padre – diceva – soltanto i posteri potranno dire se è arte il nostro mestiere di artigiani della pittura e del cinema.
Nei quadri di Orsenigo si avverte sempre la manualità. Vien voglia di toccarli, sentirli col tatto, non soltanto con gli occhi. Non dipende soltanto da rilievo che dà l’uso di strumenti polimaterici. C’è in loro una tensione verso il tridimensionale. E’ un perfezionista, Orsenigo, anche per il tocco di incompiutezza che hanno certe sue opere: sa che ogni quadro ha un suo tempo. Affinchè la magia si compia, bisogna scegliere il momento giusto di smettere. Oso dire che Giuseppe Orsenigo ha uno stile che è la firma della sua volontà di fare e di esprimersi. Lo stile sta alla stilizzazione come la volontà sta all’ostinazione. La pittura – come ogni altro mezzo espressivo, anche nelle opere più grandi – è costruita su i principi della ripetizione.
Morando Morandini
Milano , Novembre 2002